21 Apr
21Apr

Oggi, per la prima volta dall'inizio di questa situazione, Giuseppe Conte ha parlato e io non l'ho ascoltato. Non ho proprio idea di cosa abbia detto, mi è solo sembrato di sentirgli pronunciare il nome di Sgarbi. Tant'è che ho pensato “Ma, Vittorio?”. E poi ho lasciato correre.

E' così, ci sono giorni in cui si riesce pure a far finta di non stare in attesa della risoluzione di una emergenza globale. Giorni in cui le ore scorrono velocemente, il pensiero viaggia verso nuovi orizzonti e la ricerca interiore inizia a dare i suoi frutti.

In effetti, se non fosse per questo diario, oggi avrei potuto tranquillamente farla franca e schivare del tutto la consueta riflessione sul qui e ora. 
Però a quanto pare non mi riesce proprio di smettere. Sto scoprendo, o meglio, riscoprendo una passione anche se ancora non riesco a dargli un nome. 
Narrativa? No, esagerata.
Diaristica? No, sminuisce. A meno che non sei Che Guevara e giri con una motocicletta l'America Latina.
Strumento terapeutico? Sì, forse è il termine più appropriato.

In passato mi piaceva da morire vedere l'inchiostro blu della mia penna formare delle lettere, che a loro volta formavano parole, che infine formavano frasi. Raramente queste frasi sono state così tante o così ben interconnesse tra loro da dare forma a qualcosa di più lungo di un racconto o di uno sbrocco scritto.

Una delle cose più lunghe l'ho scritta su Roma, guarda un po'. Questa città ce l'ho nella pelle come ogni romano che c'è nato e come chi la ama dal profondo. E' un amore che fa le scintille, che ti fa dannare, ma che ti accoglie ogni volta che ti senti affranto.

Vederla così sola, ma allo stesso tempo così libera, piena di silenzi mai ascoltati prima, ferma, immobile, lei che è eterna, mi fa sentire come un figlio che attende di riabbracciare la mamma dopo la scuola perchè sa di trovarla lì all'uscita, come ogni giorno.

E quindi, vabbè, potevo proprio oggi, proprio io che me so' fissata con il diario della quarantena, non dedicare questa pagina alla mia città? 
A 'sta stronza che se ne sta lì, bellissima e imperturbabile e che forse senza di noi vive pure meglio. 
A lei che, in fondo in fondo, quando torneremo a incasinarla come sempre, prima ci manderà li peggio insulti e quando avrà finito, proprio come una mamma con la ciabatta in mano, si sentirà inspiegabilmente di nuovo viva e dall'alto della sua maestosità sussurrerà: “Bentornati, figli miei”.

Auguri, Roma. Te stai a fa' vecchia, eh?

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In foto, uno scatto dal mio archivio del 2016. Quando Luca mi aiutava a perfezionare la tecnica della silouette.

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