Oggi sono stata accompagnata per tutto il giorno da una parola che diceva sempre mia nonna, quella che mi portò a San Pietro da piccola per la prima volta. E' una parola molto semplice, ma proprio per questa sua semplicità è totalizzante, potente, come una sentenza benevola e salvifica.
Più che una parola è un verbo, declinato al futuro, che mi ha aiutato sempre, in ogni situazione e che, forse, in alcuni contesti ho sottovalutato, soprattutto in età adolescenziale, quando non avevo la pazienza necessaria per comprendere quel suo consiglio.
Se avevo una cotta non corrisposta, se non riuscivo a far pace con un'amichetta, se mi faceva male la pancia la sera dopo un'abbuffata di patatine, lei mi tranquillizzava, con un tono rassicurante, tipico di chi aveva chiaramente già dato una sbirciata al futuro prossimo e sapeva come sarebbe andata, dicendo solo, magicamente: “Passerà”. E poi passava.
E' passato tutto, negli anni, nei dolori, nelle angoscie. Non è rimasto niente. Aveva ragione.
E ne avrebbe anche adesso che so esattamente cosa risponderebbe se le confidassi: “Nonna, non ce la faccio più”.
Per il resto, anche il tempo di questa ennesima giornata di isolamento è andato via, aspirato come i peli di Marvel, risucchiato dallo scarico del lavandino come l'acqua dei continui lavaggi di mani, renderizzato come i progetti video su cui sto lavorando, bevuto come i trogloditi dell'opposizione dal discorso di Conte e come il Negroamaro da 13,5° di questa sera.
E per concludere, poco fa, pervasa da quella sapienza tramandata da mia nonna ho potuto dare un mio contributo concreto a una persona che aveva bisogno di superare un proprio limite. Non si è trattato di supporto vitale, certo, non ho applicato un respiratore a nessuno e non ho riscontrato alcuna negatività al Covid in un tampone da me analizzato, però, mostrare in videochiamata come aprire una bottiglia di vino a una persona a me molto cara che inspiegabilmente non sapeva come si facesse, mi ha dato una botta di autostima incredibile.
Che dire, non potremo vederci per un altro po', trascorreremo le festività più belle lontani dai nostri affetti, ma sapere che uno di questi non resterà, proprio in questi giorni, col bicchiere vuoto mi rende più serena e mi fa credere con maggiore convinzione che passerà anche questa.
A quelli che oggi pomeriggio si sono messi sulla via Aurelia e sul raccordo anulare per raggiungere chissà quali mete imperdibili di villeggiatura, tipo Torvajanica o Santa Marinella, auguro di trascorrere una serena Pasqua e di restare lì fino al 3 maggio. Mandateci una cartolina, mi raccomando.
A noi poracci, che non c'abbiamo le seconde case al mare, auguro di navigare a vele spiegate verso la fase 2, con il vento in poppa, il sole che risplenda in viso e il vento del destino che ci porti in alto a danzare con le stelle. Daje.
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In foto un tramonto sbriciato tra i palazzi. Perchè alla fine la bellezza se vuole sa sempre come farsi trovare.
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